Il raggiungimento della felicità è indubbiamente uno dei principali scopi che l’essere umano si è sempre posto. E’ raro trovare qualcuno che non stia rincorrendo, con risultati più o meno soddisfacenti, il cosiddetto “lieto fine”. Ma questa spasmodica ricerca coinvolge proprio tutti? Oppure esistono persone che temono la felicità? E’ quel che sembra capitare al cherofobico, vediamo di che si tratta.
Che cos’è la cherofobia?
Con il termine cherofobia, dal greco chero (“rallegrarsi”) e fobia (“paura”), facciamo riferimento alla paura di essere felici, condizione che porta il soggetto ad evitare tutte le possibili fonti di gioia. Sebbene tale malessere non sia inserito all’interno del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5), si tratta di una vera e propria fobia, in grado di creare un intenso disagio e limitare la vita del soggetto che ne è affetto. Va sottolineato, tuttavia, come il cherofobico non tema in senso stretto la felicità ma le sue conseguenze. Quest’ultima, infatti, viene considerata come portatrice di qualcosa di negativo. In risposta a ciò il soggetto mette in atto un meccanismo di difesa, determinato dalla convinzione che ad un evento piacevole ne seguirà inevitabilmente un altro doloroso, che porterà alla depressione e alla disperazione. Per tale motivo la felicità viene considerata come un male per se stessi e per gli altri. La cherofobia colpirebbe soprattutto gli adolescenti che rappresentano i soggetti più a rischio in quanto sono coinvolti in un complesso processo di definizione della propria identità e hanno, di conseguenza, un minor numero di filtri rispetto alle proprie emozioni. L’adolescente, quindi, ancor più dell’adulto, può vivere alcune esperienze negative come ineluttabili, finendo per evitarle con tutto se stesso. Il cherofobico, però, non va confuso con il depresso, sebbene un calo del tono dell’umore sia presente anche nel primo, in quanto tale stato non è la caratteristica principale e si presenta solo a seguito dell’esposizione a momenti felici. Il soggetto, infatti, vive in una costante apatia proprio per timore dei potenziali sbalzi d’umore e dei cambiamenti che possono far seguito al proprio stato di equilibrio.
In che modo si manifesta?
Come abbiamo già accennato il cherofobico teme le conseguenze della felicità e, in particolare, le emozioni negative che potrebbero seguirne. Non ritenendosi, quindi, in grado di affrontare quest’ultime, impiega tutte le proprie risorse nel mantenimento di uno stato di equilibrio che pur rendendolo infelice è a lui ben noto. A tale meccanismo si associano altri sintomi quali:
- L’ansia vissuta di fronte alle situazioni sociali e la rinuncia a partecipare alle stesse;
- La presenza di cali dell’umore e di un costante stato di apatia;
- La paura e la conseguente fuga dal cambiamento, vissuto come qualcosa di negativo;
- L’idea che mostrare la propria felicità agli altri possa comportare dei rischi;
- La ferrea convinzione che la ricerca della felicità sia solo un’inutile perdita di tempo.
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Tali condizioni, inoltre, hanno un’importante ricaduta sul versante relazionale, in quanto la fuga dalle occasioni ludiche porta il soggetto ad un considerevole isolamento sociale. Va sottolineata, infine, la scarsa motivazione alla cura, in quanto i comportamenti di evitamento messi in atto funzionano da corazza contro un mondo esterno vissuto come potenzialmente pericoloso e spesso il soggetto non si ritiene bisognoso d’aiuto.
Quali sono le cause?
Non è possibile evidenziare una specifica causa alla base della cherofobia. Ognuno di noi, infatti, ha una propria storia ed è in essa che possiamo ricercare l’origine del nostro malessere. In generale, tuttavia, il periodo dell’infanzia sembrerebbe svolgere un ruolo di grande rilevanza. Secondo la psichiatra Carrie Barron, infatti, tale fobia sarebbe il risultato di un trauma vissuto in questa fase della vita. Il bambino, in sostanza, sperimenterebbe un momento di intensa felicità seguito da un altro di grande sofferenza, finendo per connettere tali emozioni. Si verrebbe, quindi, a creare uno stretto legame tra felicità e infelicità, che porterebbe il soggetto a rifuggire dalla prima in modo che non si determini la seconda. In tale dinamica non va, inoltre, sottovalutato il ruolo del proprio contesto familiare e relazionale. Il cherofobico, infatti, potrebbe aver sperimentato tale condizione anche indirettamente, prendendo come modello le storie dei propri genitori o di generazioni ancora più lontane, e facendosi, di conseguenza, portatore di un mito familiare caratterizzato da momenti di felicità seguiti da intense sciagure. Tale dinamica, una volta appresa, diventerà parte del funzionamento del futuro adulto.
Come intervenire
Come per tutte le altre fobie, anche per la cherofobia è necessario un percorso psicoterapeutico che faciliti il venir meno del circolo vizioso, composto dalla paura della felicità e dall’evitamento delle esperienze potenzialmente positive. L’intervento terapeutico sarà, incentrato, innanzitutto, sul costruire un’adeguata motivazione alla cura e sulla ricerca dell’origine del proprio malessere, in quanto essere consapevoli di avere un problema e modificare le prospettive sullo stesso è un passo fondamentale per cambiare in positivo la propria vita. Si combatterà, inoltre, anche l’immobilismo messo in atto, vera e propria tentata soluzione che finisce per aggravare la condizione del soggetto, impedendogli di sperimentare un’alternativa al meccanismo appreso felicità/infelicità. Cambiare, infatti, è condizione indispensabile per poter fronteggiare adeguatamente gli eventi che la vita ci porterà dinanzi. La staticità, al contrario, crea stagnazione e malessere, contrastando il naturale processo di adattamento. Occorre, quindi, abbandonare acque ormai stagnanti, per lasciarsi andare al flusso della vita, sperimentando diverse esperienze e iniziando, di conseguenza, un percorso di autorealizzazione mirato alla felicità.
Dottore Davide Ferlito
Email: ferlitodavide.ct@gmail.com
Cell. 3277805675
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