I sei poliziotti e i due carabinieri finiti sotto processo per il caso della morte di Giuseppe Uva sperano in una conferma in cassazione delle sentenze di primo grado e di appello.
In cassazione il caso Uva
Il prossimo 8 luglio in Corte di Cassazione sarà discusso il caso Uva. I fatti si riferiscono ad la notte del 13 giugno 2008, quando Giuseppe Uva moriva in ospedale a Varese dopo essere transitato nella locale caserma dei carabinieri a seguito di un controllo. Quella sera Giuseppe Uva, separato e con affetti precari era in compagnia del suo amico Alberto Biggiogero. In preda all’effetto dell’alcol i due uomini transennano una via di Varese. Arrivano i Carabinieri e la Polizia, che ripristinano la sicurezza stradale messa a rischio dalla “guasconata” e portano in caserma i due autori. Uva viene portato successivamente in ospedale e muore mentre è ricoverato al reparto di psichiatria dell’ospedale di Circolo.
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La testimonianza di Alberto Biggiogero
L’amico che era con lui, Alberto Biggiogero, dalla caserma dei carabinieri chiama al 118: “può mandare un autolettiga alla caserma di via Saffi? stanno massacrando un ragazzo“, si sente dalla registrazione delle telefonata. A suo dire dopo ore in caserma Uva era stato picchiato selvaggiamente dai militari. Almeno questo sente da una stanza attigua. Secondo il Pm Agostino Abate la storia non regge per nulla. Biggiogero non è credibile, secondo il magistrato, sia per gli effetti dell’alcool, che per i tempi di permanenza in caserma dello stesso. Il testimone davanti al Pm non riesce per nulla ad essere convincente. Traballa. Le ore in caserma diventano minuti e dati oggettivi come gli orari delle telefonate al 118 e l’arrivo del padre stesso di Biggiogero in caserma non coincidono per nulla con la versione che lo stesso Alberto aveva dato ai media ed all’avvocato.
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Inoltre, Biggiogero non riesce nemmeno a spiegare che lavoro faccia per vivere. Dapprima dice di essere un attore/comparsa, poi ammette di aver fatto solo 4 particine di pochi secondi nel corso di qualche anno. Successivamente ammette di fare qualche lavoretto come imbianchino a Milano, dove dice di essersi trasferito da poco. Queste indagini partirono dopo l’assoluzione del medio dell’ospedale accusato di aver causato la morte di Uva con il trattamento sanitario obbligatorio. Dopo una serie di accuse da parte del Gip di Milano al Pm di Varese che avrebbe reso difficoltose le dichiarazioni in Procura di Biggiogero si arriva l processo. Secondo gli avvocati difensori, il testimone non è credibile per i suoi vari problemi psichiatrici testimoniati da ricoveri in strutture sanitarie.
L’omicidio del padre
Infine Alberto Biggiogero, il supertestimone del caso Uva, ha ucciso suo padre con una coltellata, intorno alle 18.30 di un mercoledì del febbraio 2017. L’omicidio avvenne in viale dei Mille a Varese, al termine di una lite all’interno della casa di famiglia. L’uomo colpì all’addome il genitore, Ferruccio Biggiogero, uccidendolo.
L’avvocato dei 2 poliziotti: “10 anni di incubo”
“Mi auguro che la Suprema Corte confermi le sentenze di primo e secondo grado – ha commentato l’avvocato Piero Porciani, difensore di due poliziotti – consentendo agli imputati che hanno fatto solo il loro dovere, di ricominciare a vivere dopo oltre 10 anni di incubo“.
Intanto la famiglia di Giuseppe Uva è ancora alla ricerca della verità sulla morte del loro congiunto.
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