Avvento del 5G? La novità che spiazza tutti: gli indirizzi IP sono limitati

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Le analisi prevedono che entro la fine del 2020 saranno connessi alla rete Internet circa 50 miliardi di oggetti smart: essi saranno sempre più utilizzati a casa, in ufficio, in auto, per le strade negli ospedali, nelle pubbliche amministrazioni e in moltissimi altri luoghi. La rete 5G, però, significherà innanzitutto più precisione, essendo basata sulla trasmissione radio ad onde corte.

Articolo di Clemente Cipresso

L’avvento del 5G

In tal senso stanno lavorando già da alcuni anni diversi ricercatori americani a micro-sensori connessi ai tessuti umani. Questi sensori indomabili o innestati, possono individuare modifiche fisiologiche e chimiche molto più rapidamente e con maggiore accuratezza. Tali risultati, individuati senza la necessità di ricorrere ad analisi invasive, consentono una cura migliore e più tempestiva e, dunque, di offrire più garanzie di salute al paziente. La svolta chiave di questo progetto, parte oggi, con la possibilità dei chip di comunicare via wireless, a dei gateway compatibili 5G, raccogliendo non solo i propri dati, ma anche quelli di altri sensori orchestrandone il collegamento, al fine avvertire il paziente della necessità di parlare con il proprio medico… e questo è solo l’inizio.

Cosa succederà nei prossimi cinque anni?

Nell’arco che prossimi 5 anni, l’opportunità offerta dal 5G, in questo contesto, non sarà più ‘banalmente’ legata alla sua capacità di disporre di una connessione superveloce, ma di consentire a più dispositivi di comunicare e collaborare istantaneamente per produrre un risultato molto più avanzato e completo. Arturo Verde, impiegato da 18 anni nell’ambito ICT, sostiene: “Gli analisti prevedono che entro la fine del 2020 saranno connessi alla rete Internet circa 50 miliardi di oggetti smart. Complice anche l’avvento della rete 5G, avremo dunque oggetti e sensori autonomamente connessi senza transitare da un gateway locale. Ciò vorrà dire un numero sempre più alto di dispositivi connessi ad alta velocità, ma con un numero di indirizzi IP (indirizzo con i quali i dispositivi vengono identificati in rete) è limitato e che non può essere aumentato. La saturazione è ormai annunciata. E’ possibile che gli interessi degli ISP, impongano ai ricercatori, di focalizzarsi sulla velocità della rete ancor prima di preoccuparsi di aver esaurito il numero di oggetti che posso far parte della rete stessa?“.

Arturo Verde conclude spiegando: “Forse sì, se consideriamo che la ricerca è trainata dagli investimenti, che a sua volta sono ripagati dal cliente gioioso di avere un ‘rubinetto’ più grande del suo vicino. Intanto la soluzione c’era 20 anni fa, e la si troverebbe nel ‘nuovo’ protocollo IPv6, uno standard internazionale, di cui una delle prime implementazioni risale al 1999 proprio da parte dell’Italiano CSELT (Centro Studi E Laboratori Telecomunicazioni). Oggi, non abbiamo ancora assistito a una transizione sistematica e di massa da IP ordinari a indirizzi IPv6 per varie ragioni, tra cui la preoccupazione delle aziende che IPv6 possa essere più lento e meno efficiente, oltre (e soprattutto) a l’insufficiente formazione del personale IT su come ottimizzare le proprie infrastrutture sulla nuova versione del protocollo. Un vero e proprio contrappeso nello scenario di iper-velocità di cui la rete 5G si rende fautrice“.

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