In tarda mattinata, scorrendo la pagina di Facebook per “palpare” l’umore del popolo social, mi imbatto in un post sul profilo di un’amica. In primo piano, un’immagine bellissima: Quartieri Spagnoli, uno scalone di basalto costretto fra le mura del vicolo; sul grigio della pietra centenaria, due file parallele di ragazzini, maggiormente femminucce, seduti con indosso le mascherine; penne e quaderni, sulle ginocchia e fra le mani; dal lato opposto delle file, la figura di una donna che verrebbe semplice identificare come un’insegnante.

La foto mi ha colpita, ma non sarebbe il solo caso di didattica all’aperto in via di sperimentazione. Anche Biella, fa da capofila all’inizio di un bellissimo progetto titolato “Scuola all’aperto”, in cui banchi e lavagne per la lezione saranno posizionati fra la piazza della città e un famoso giardino. Questo, non solo per stemperare i rischi da Coronavirus, ma anche per vagliare un modello che potrebbe addirittura dare frutti insperati.
Non c’è un momento migliore di adesso, per ripensare il modello scolastico odierno.
Con l’ultimo Dpcm, in cui la DAD si espleterà nella quasi totalità dei casi, i ragazzi saranno sempre più lontani dal loro naturale percorso di crescita fatto di esperienze, scambi umani e conoscenze. Ma anche piccoli litigi e monellerie fanciullesche, che stimolano bambini e adolescenti a misurarsi con le proprie fragilità. Anche Roberto Vecchioni, pochi giorni fa, ha chiaramente bocciato il fenomeno della didattica a distanza definendola una “ferita forte, quasi mortale”:
“La scuola è libertà, felicità, gioia, stare insieme. Non può essere isolamento davanti ad uno schermo e apprendimento a distanza. La scuola è godere e soffrire con gli altri, è partecipare alla vita perché la scuola è vita”, si è espresso Vecchioni.

Ma, a voler trovare una nota di ottimismo in un periodo di estrema incertezza, attraverso la sperimentazione della scuola all’aperto, si va addirittura oltre. Una boccata di aria pulita, quella di sondare un modello didattico in armonia con l’ambiente circostante, mentre la vita si modella tutt’intorno ed è possibile percepire suoni non udibili fra le mura di una struttura, all’ascolto di versi come “O patria mia, vedo le mura e gli archi/ E le colonne e i simulacri e l’erme/Torri degli avi nostri”.
Le strade, le piazze, i parchi e i giardini sono luoghi che, se sfruttati in sicurezza, sono una grande possibilità di apprendere in comunione con l’ambiente che viviamo, da cui proveniamo ma di cui, spesso, dimentichiamo.
Non lasciamoci sfuggire la possibilità di fare un passo verso la civiltà, guardando al passato: ai tempi dell’antico Egitto, in cui i futuri funzionari di stato venivano educati all’aperto su stuoie intrecciate; in cui per i Greci, la piazza era un punto di ritrovo fondamentale, ma non meno i boschi per alcune fasi d’apprendimento per i Romani.
Tornare indietro e non fare un passo avanti, verso il burrone dell’indolenza, è l’unica speranza verso un reale progresso umano e culturale, che sembra oggi un po’ lontano.