Catania, dalla concertazione effimera ai processi decisionali inclusivi

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Quella della “concertazione” era una stagione politica assai lontana, una buona prassi che coinvolgeva enti territoriali e istituzioni, organizzazioni datoriali e dei lavoratori, movimenti di cittadini e associazioni di volontariato. Spesso allargata al di là dei confini stabiliti dalla legge, le conferenze dei servizi, la concertazione rendeva più soggetti artefici di una scelta che non era più affidata ad un solo protagonista. Non era mai possibile, naturalmente, accontentare tutti, spesso per contrapposizioni esclusivamente ideologiche, ma quanto meno scontentava pochi. Adesso, pe dare risposte concrete, razionali, efficienti e, anche in empi brevi, è necessario passare ai processi decisionali inclusivi, per i quali è necessaria una prova di maturità e di lungimiranza da parte dei pubblici amministratori che dovrebbero cominciare a guardare oltre la scadenza del proprio mandato.

Buone maniere finite nel dimenticatoio, per colpa dell’esuberante e vorace assolutismo di alcuni personaggi e per i continui terremoti politici. Adesso, la metamorfosi in atto della città, con la desertificazione di alcune aree, la valorizzazione di altre ed i miliardi di euro che potranno, o potrebbero, essere investiti per riqualificazioni hanno riacceso il piacere, e l’interesse, della partecipazione, per tutelare, come è ovvio che sia, interessi legittimamente di parte. L’annunciata distruzione e l’ipotetica ricostruzione è un’opportunità da non perdere per piazzare una bandierina, alzare una mano, indicare una desiderata, spesso tra l’insofferenza, l’indifferenza o il malcelato fastidio del pubblico amministratore. “Il confronto è utile ma deve avere un inizio e una fine. Io ho il dovere di ascoltare tutti e il diritto di decidere con la mia testa”, dice il presidente della Regione, Nello Musumeci e lancia un segnale forte e chiaro. Se non siamo alla famosa frase del marchese del Grillo poco ci manca.

“Assieme alle altre parti istituzionali e alle organizzazioni della società civile, abbiamo segnato il primo importantissimo passo di un confronto ampio e partecipato per definire costruttivamente il futuro degli ospedali dismessi e della storica zona dell’Antico Corso che è il cuore della nostra città. Gli spunti offerti dai contributi nella video conferenza sono stati tutti di grande valenza”, dichiara da parte sua il sindaco Salvo Pogliese, commentando l’affollato, forse fin troppo, incontro “da remoto” che secondo qualche spettatore interessato è stata più che altro una autoreferenziale esibizione di saluti e ringraziamenti. Musumeci ha ribadito il futuro dell’ex Vittorio Emanuele: Museo della città, residenza universitaria, laboratori per l’accademia di Belle arti. Sul piatto della bilancia della riconversione delle ex strutture ospedaliere ci sono circa 350 milioni di euro, a quanto dice il sindaco Salvo Pogliese. Tanti.

L’’Ordine degli Architetti di Catania già nel 2009 cominciò a parlare di “democrazia partecipata” per far interagire differenti saperi e coinvolgere tutti i portatori d’interesse del processo di riqualificazione della città.

“Cogliamo l’occasione per ribadire il nostro pensiero su alcune questioni sollevate con il progetto del Santa Marta e con quello futuribile dell’Ospedale Vittorio Emanuele – dichiara il presidente Alessandro Amaro – .Ormai da anni spingiamo nella direzione dei Concorsi di progettazione in due fasi. In tal senso, avremmo voluto che si ricorresse a questo metodo anche per il Santa Marta – così com’è avvenuto anche per altre opere avviate dalla Regione, basti pensare alla nuova Cittadella Giudiziaria – ma sappiamo bene che la normativa sui Lavori pubblici prevede, sottosoglia, anche l’affidamento di incarichi diretti. La decisione ultima su come operare spetta certamente agli Enti e alla politica, che auspichiamo valutino di volta in volta l’opportunità dei differenti strumenti a disposizione per rilanciare l’architettura”.

Naturalmente al dibattito non possono restar estranei i sindacati.  “Il riutilizzo degli ospedali cittadini dismessi deve essere inserito in un quadro più ampio che includa l’intero quartiere, la sua storia, i suoi abitanti, i suoi servizi con tutti i risvolti economici, sociali e culturali a essi correlati. Diventa necessaria, quindi, una profonda riflessione sui processi di trasformazione urbana che hanno prodotto una progressiva erosione dei diritti sociali. Così anche gli interventi sulle periferie catanesi, finora in stallo, avranno bisogno di una programmazione immediata e il coinvolgimento delle forze cittadine per costruire un concorso di idee finalizzato a valorizzare tutta la città”. Cgil, Cisl, Uil e Ugl di Catania lanciano all’Amministrazione comunale una sollecitazione per una nuova fase di concertazione sui temi della coesione e della conurbazione sociale del territorio.  I sindacati giudicano però l’incontro sull’ex “Santa Marta” importante ma “piuttosto tardivo” e temono che ulteriori confronti estemporanei possano «incorrere nel serio rischio di produrre pochi risultati, se non inquadrati in un disegno più ampio e programmato. La Regione Siciliana ha inoltre assicurato che per recuperare le aree nosocomiali dismesse sarebbero disponibili 300 milioni di euro.  “Ecco perché all’Amministrazione comunale proporremo un dossier su queste opere, ma anche su quelle che a Catania sono rimaste ferme, da Corso dei Martiri al prolungamento di viale Alcide De Gasperi a Ognina, agli interventi per le periferie dove nonostante i fondi ancora nulla si è fatto. Si tratta di occasioni di sviluppo anche economico ed occupazionale da non sottovalutare e non disperdere, in particolar modo in un momento così difficile per l’economia ed il lavoro come quello che stiamo vivendo”.

Strumento ideale, catalizzatore di istanze ed elaboratore di sintesi, dovrebbe essere l’Urban center, la cui istituzione è stata annunciata dall’assessore comunale all’Urbanistica, Enrico Trantino, purchè non segua l’italica logica che per risolvere un problema si crea una commissione che poi non risolverà il problema.

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