Questa miniserie – documentario da 3 episodi esplora perchè Jeffrey abbia commesso tali atrocità e com’è inizialmente sfuggito dalla giustizia. Disponibile da oggi su Netflix a seguito del grande successo della serie Dahmer.
La serie più chiaccherata del momento è senz’altro “Dahmer: mostro – la storia di Jeffrey Dahmer” che con più di 473 milioni di streaming al mondo ha acceso i riflettori sulla storia di Jeffrey, spietato assassino che tra il 1978 ed il 1991 ha mietuto ben 17 vittime nel Milwaukee (Wisconsin, America).
Il grande successo dei 10 episodi rilasciati lo scorso 21 settembre su Netflix ha incuriosito ed allo stesso tempo indignato quanti non conoscevano la storia del pluriomicida statunitense. A seguito dell’incredibile riuscita della serie la piattaforma streaming ha rilasciato oggi – venerdì 7 ottobre – una miniserie – documentario da 3 puntate dal titolo “Conversazioni con un killer: il caso Dahmer” del regista Joe Berlinger. La miniserie esplora il perché Jeffrey abbia commesso tali atrocità e com’è inizialmente sfuggito dalla giustizia.
“Non c’era motivo di continuare a nascondere le mie azioni. La strada giusta era quella di aiutare la polizia ad identificare tutte le vittime e a dare un quadro completo”. Queste le parole di Dahmer quando nel 1992 venne accusato e condannato a 957 anni di ergastolo per stupro, necrofilia, cannibalismo, squartamento, atti osceni ed adescamento di minori. Jeffrey ha agito indisturbato per anni fino a quando Tracy Edwards nel 1991 è riuscito – sebbene ammanettato – a scappare in tempo dall’appartamento del killer per denunciarlo alle autorità competenti. Le vittime che Jeffrey adescava, narcotizzava ed uccideva in casa non a caso erano gay, neri ed ispanici. Per tale ragione il caso Dahmer è da considerarsi una pagina nera della giustizia americana: una denuncia all’intero sistema penitenziario degli anni ’90 talmente razzista da non aver sottovalutato le segnalazioni dei vicini poiché di colore.
C’è chi sostiene che questa storia non avrebbe mai dovuto esser fruita e conosciuta dal grande pubblico in tutto il mondo e chi addirittura ha sviluppato una vera e propria “ossessione” nei confronti degli eventi narrati fino quasi ad “empatizzare con il killer” ricercando spasmodicamente tutte le informazioni sul caso Dahmer esistenti sul web. Al contempo i parenti delle vittime hanno preso le distanze da quanto messo in scena dal regista Ryan Murphy ed accusano Netflix per non averli contattati e soprattutto per aver strumentalizzato il loro dolore per fini commerciali. Per quanto tempo ancora i parenti dovranno vedere e quindi rivivere quelle immagini terribili?
Ultimamente è impossibile non imbattersi in un contenuto sui social riguardante Dahmer specie su TikTok dove di recente è stata lanciata una challenge virale dai più giovani: l’obiettivo è quello di trovare in rete le immagini delle vere polaroid che Jeffrey ha scattato alle sue vittime dopo averle sacrificate. Ed ancora, prezzi altissimi sono stati assegnati all’asta per acquistare gli “oggetti personali di Jeffrey Dahmer”: i suoi occhiali sono quotati per un valore di 150 mila dollari. In vendita anche la sua impronta digitale, un biglietto autografato, fotografie di famiglia, documenti personali e la sua Bibbia.

La domanda da porsi è: perchè chi non è coinvolto in prima persona subisce il fascino morboso del male? Non è la prima volta che quest’agghiacciante storia viene trasmessa. Sono diversi i documentari ed i film che negli anni sono stati realizzati: “The secret life – Jeffrey Dahmer” (1993), “Serial Killers: The Real Life Hannibal Lecters” (2001), “Dahmer il cannibale di Milwalkee” (2002), “Dahmer vs Gacy” (2002), “The Jeffrey dahmer files” (2012), “Raising Jeffrey Dahmer” (2016) e “My friend Jeffrey Dahmer” (2017).
Il caso Dahmer era già conosciuto anche in Italia, la sua storia fu trattata anni fa in una delle puntate della trasmissione “Linea d’ombra” sul tema cannibalismo in onda su Rai 2 eppure mai come adesso nel nostro paese si è parlato dell’assassino. Evidentemente Netflix ha saputo ben raccontare la storia dell’omicida – anche se alcune scene non rispecchiano la realtà dei fatti – grazie alla “mostruosa interpretazione e somiglianza” dello statunitense Evan Peters conosciuto dagli amanti del genere crime per le sue interpretazioni nelle serie di successo “American Horror Story” e “Omicidio a Easttown” con cui nel 2021 si è aggiudicato il Premio Emmy come miglior attore non protagonista. “Ero molto spaventato da tutte le cose che ha fatto e mi sono tuffato in quell’ oscurità. È stata assolutamente una delle cose più difficili che abbia mai fatto in vita mia” ha dichiarato l’interprete di Jeffrey.

Quali sono stati i cambiamenti rispetto la storia reale di Jeffrey nella serie Netflix?
Glenda Cleveland nella vita reale non era la vicina di Dahmer ma viveva dall’altra parte della strada. Non ha quindi chiamato la polizia per il nauseabondo odore proveniente dall’appartemento del killer – come narrato – ma ha segnalato la presenza sospetta di un quattordicenne in stato confusionale fuori casa di Jeffrey. In più nella realtà i due poliziotti chiamati da Glenda in quell’occasione sono stati licenziati per negligenza fino al 1994 per poi esser reintegrati. La vera vicina Pamela Bass invece non ha mai nutrito alcun sospetto.
Lionel Dahmer, papà di Jeffrey, non ha trasmesso al figlio la passione per la vivisezione delle carcasse degli animali così come vediamo nel corso delle puntate.
Dahmer ha ucciso il sordomuto Tony Hughges nel 1989 lo stesso giorno che lo vide per la prima volta. La frequentazione tra i due e quindi il sentimento che Jeffrey sembra provare per lui nella sesta puntata è fittizio.